Slow food e cibo a km zero

Il movimento Slow Food si può ormai considerare come una grande associazione globale che difende la cucina locale e si oppone completamente al pessimo modello gastronomico fast food che negli ultimi anni ha guadagnato pericolosamente terreno: alimenti provenienti da paesi lontani, spesso geneticamente modificati, surgelati, dalla qualità discutibile, con una preparazione che richiede pochi minuti ed accompagnati da abbondanti salse per coprire il loro vero sapore.

Si può dire che lo Slow Food è nato in Italia nel 1986 per merito di Carlo Petrini, con l’impegno di adeguare la cucina agli ingredienti più vicini e disponibili, cercando di evitare che la globalizzazione elimini le stagioni dell’anno, adattandosi ai prodotti offerti dalla nostra terra in ogni stagione, con il supporto fondamentale di produttori locali.

Questo nuovo (ma praticamente assai vecchio e tradizionale) modo di intendere la cucina ha suscitato interesse in molte persone ed anche in molti cuochi, che hanno adattato i propri ristoranti per offrire piatti in linea con la filosofia Slow Food. Ma quali sono i requisiti per essere un ristorante Slow Food? È necessario disporre di almeno cinque piatti “km zero” , un’adeguata separazione dei rifiuti prodotti per il conseguente riciclaggio e che almeno il cuoco sia un socio Slow Food.

E “piatto a km zero” che significa? Che almeno il 40% degli ingredienti che compongono il piatto siano locali, essenziale che lo sia l’ingrediente principale. Questo significa che il ristorante deve rifornirsi direttamente dai produttori ed ovviamente che ogni alimento deve essere prodotto nelle vicinanze, a meno di cento chilometri. Inoltre, gli ingredienti non locali devono essere biologici con tanto di certificato; se si tratta di pesce, deve essere stato pescato in maniera sostenibile. Ovviamente nessun alimento deve essere OGM.

L’idea di consumare prodotti della regione non è per niente utopistica, se ci pensiamo fino a qualche decennio fa era assolutamente normale che fosse così ed in molti luoghi è così ancora oggi, dove vengono acquistati e cucinati prodotti della propria terra. La tendenza a consumare prodotti locali continua a crescere, anche se in maniera troppo modesta.

Consumare prodotti locali è anche sinonimo di salute: i prodotti trasportati da Paesi lontani soffrono bruschi sbalzi di temperatura che interrompono la catena del freddo, con la conseguente perdita di qualità. Puntare sul cibo locale significa anche ridurre costi di trasporto, che influiscono sull’ecologia, e sostenere piccole aziende e coltivatori locali, fondamentali per il sostentamento dell’economia locale.